Il concetto di DISCRIMINAZIONE è definito con precisione dalla normativa italiana e da quella europea a partire dalla Legge 125/91, che ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione più efficace sia della DISCRIMINAZIONE DIRETTA che di quella INDIRETTA.
In base a questa legge, la DISCRIMINAZIONE DIRETTA consiste in atti, patti o comportamenti che producono un effetto pregiudizievole discriminando i lavoratori in ragione del sesso. Perché ci sia discriminazione, quindi, occorre verificare l'effetto del comportamento adottato, mentre è irrilevante l'intento discriminatorio. La conseguenza sul piano pratico è rilevante in quanto non occorre un'indagine mirante all'individuazione di uno specifico atteggiamento psicologico da parte del datore di lavoro che mette in atto il comportamento discriminatorio.
Ancora più incisivo è il concetto di DISCRIMINAZIONE INDIRETTA che consiste in "ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore lavoratori dell'uno o dell'altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa". In pratica si ha discriminazione indiretta ogni volta che si adotta un trattamento uguale e apparentemente neutro a soggetti diversi (uomini e donne) e che quindi produce effetti in proporzione più negativi per i soggetti femminili.
Ultimamente il quadro normativo europeo si è spinto ancora più avanti, aprendo prospettive nuove: sono state emanate due direttive (2000/43 e 2000/78) in tema di divieto di discriminazioni in base alla razza o all'origine etnica e in base alle condizioni personali del soggetto; a seguire è stata promulgata un' ulteriore direttiva sulle discriminazioni in base al sesso (2002/73), che ha modificato la ormai storica 76/207 (che è stata la fonte di tutte le norme antidiscriminatorie specifiche degli Stati membri dell'Unione Europea).
La adozione di queste ultime direttive ha modificato notevolmente il concetto di discriminazione indiretta: infatti mentre per quelle operate in base al sesso si faceva riferimento allo svantaggio proporzionalmente maggiore, cioè una disparità statisticamente significativa, che richiede quindi il ricorso alla prova statistica (ampiamente e agevolmente utilizzata dai giudici americani ma poco frequentata nella nostra realtà), secondo questa nuova definizione (e a partire da queste nuove forme di discriminazione) si è ritenuto sufficiente che si verifichi un particolare svantaggio.
Ciò significa che si sta andando verso una definizione del concetto di discriminazione che tende ad andare oltre il suo carattere tradizionale di giudizio di comparazione. Secondo il nuovo approccio si è discriminati non solo se si viene trattati peggio degli appartenenti al gruppo di maggioranza (gli eterosessuali, la razza maggioritaria, la confessione religiosa prevalente, il sesso,.), ma anche quando si è svantaggiati a causa della propria condizione soggettiva.
Una novità ulteriore introdotta dalla nuova Direttiva è rappresentata dal comprendere nuovamente tra i casi di discriminazione anche le molestie e le molestie sessuali (distinguendo tra le due fattispecie). Ciò significa che ai casi di molestie, se riconosciuti come tali, verranno applicate le stesse sanzioni previste per le discriminazioni.
Perché si affermi una reale consapevolezza ai fini della rilevazione dei casi di discriminazioni occorre fare ancora molto.
Spesso sono le stesse vittime che non riconoscono la discriminazione nei comportamenti che le penalizzano.
DISCRIMINAZIONI NELL'ACCESSO AL LAVORO
A) Fase di ricerca del personale
B) Selezione
Criteri di selezione (art. 4, comma 1 e 2, L. 125/91 discriminazione diretta e indiretta e art. 5, L. 56/87):
1. Prove di selezione ergonomiche non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa
2. Sottoscrizione di dimissioni in bianco o di impegno a non avere figli per un certo periodo di tempo
3. Accertamento dello stato di gravidanza mediante visita o esami medici preassuntivi
C) Mancato superamento del periodo di prova
Valutare s e è legato alla sopravvivenza di gravidanza o matrimonio.
D) Formazione
Com'è noto, la formazione è un'attività didattica con contenuti tecnici e pratici finalizzata alla qualificazione del lavoratore. La discriminazione può essere conseguenza della ingannevole neutralità della formazione consistente nel mancato coinvolgimento di entrambi i sessi nel processo formativo.
LE CRITICITA' SI POSSONO RILEVARE PRESTANDO ATTENZIONE AI SEGUENTI ASPETTI:
1. Criteri di selezione nelle modalità di accesso alla formazione, perfezionamento ed aggiornamento professionale
2. Formazione interna ai contratti di formazione e lavoro (per disparità di comportamento)
3. Accesso alla formazione interna cofinanziata dai fondi comunitari e nazionali
4. Le condizioni logistiche ed organizzative possono essere discriminanti sia nel pubblico sia nel privato
N.B.: la formazione è accessibile anche durante l'astensione obbligatoria per maternità, purché non comporti esposizioni a rischi per la salute della madre e del bambino.
DISCRIMINAZIONI NEL CORSO DEL RAPPORTO DI LAVORO
A) Progressione di carriera
Si tratta del passaggio da una categoria all'altra, superiore, dovuto ad una valutazione positiva dell'insieme di competenze, capacità e professionalità del soggetto.
Per individuare le discriminazioni si devono valutare:
· Curriculum professionale
· Incidenza della maternità
· Demansionamento o dequalificazione di fatto
· Accesso alla formazione ed aggiornamento professionale
· Concessione part - time
· Trasferimento
· Messa in C. IGS.
B) Retribuzione
Per retribuzione si intende il corrispettivo onnicomprensivo che il lavoratore subordinato riceve, in quanto soggetto che si obbliga a collaborare nell'azienda, in funzione della quantità e qualità della prestazione fornita. Nel concetto di retribuzione rientrano tutti gli elementi che vengono corrisposti con una certa frequenza e periodicità.
Fermo restando il principio di parità retributiva e di non discriminazione, si rileva la difficoltà ad individuare comportamenti discriminatori, tenuto conto del contrastante comportamento giurisprudenziale, a fronte della possibilità di trattamenti retributivi differenziati per un lavoro uguale o di pari valore.
Per individuare le discriminazioni bisogna valutare:
1. Contratti collettivi nazionali di lavoro e integrativi/aziendali
2. Livello e mansioni, per applicazione del principio paritario non solo per prestazioni uguali ma anche per prestazioni di pari valore
3. Busta paga
4. Utilizzo del rapporto sulla situazione del personale (Art. 9 L. 125/91) per aziende con oltre 100 dipendenti o come griglia di rilevazione per le altre aziende
Fonti normative